PADOVA Una sentenza di condanna a un imprenditore padovano in due gradi di giudizio per violenza e lesioni contro l’ex moglie, maltrattamenti in famiglia e violenza assistita. Un anno dopo, nell’udienza civile per l’affidamento del figlio minore, la giudice decide il trasferimento del piccolo in casa del padre, scrivendo nel decreto che è «irrilevante» la condanna penale per violenza dell’uomo e definendolo «figura maggiormente idonea a garantire stabilità emotiva e accudimento del minore». Lo stesso padre che, come si legge nella sentenza di condanna per violenza di un anno prima, firmata dalla giudice Valentina Verduci, e nell’elenco di testimonianze e prove riportato, ha massacrato di botte (con lesioni anche permanenti), insultato, minacciato, demolito psicologicamente, isolato, tenuto senza soldi e senza cibo l’ex moglie, con l’aggravante di averlo fatto sempre alla presenza dei figli minori (violenza assistita). 

La denuncia

Immediata la denuncia del Centro Veneto Progetti Donna Onlus, il Centro Antiviolenza Veneto: «Il decreto dell’udienza civile viola la Convenzione di Instanbul, la Convenzione europea firmata e riconosciuta da tutti gli Stati per la lotta alla violenza contro le donne e violenza domestica – fa notare Patrizia Zantedeschi, psicologa e presidente Centro Veneto Progetti Donna -. La Convenzione stabilisce chiaramente che gli episodi di violenza (e qui c’è addirittura una doppia condanna), vanno sempre considerati nelle decisioni sui diritti di custodia dei figli. In questo caso la giudice ha messo anche per scritto che la condanna del padre è irrilevante. Sostenendo che lui non è stato maltrattante verso i figli, quando la violenza assistita è violenza contro i bambini»

Donne in rivolta

Gli avvocati e gli esperti del Centro Veneto Progetti Donna hanno già segnalato quello che definiscono «un decreto senza precedenti in Italia» e «una grave violazione di legge» al Grevio, l’organismo internazionale che vigila sulle violazioni della legge e sulla mancata tutela delle vittime di violenza, perchè apra un’inchiesta. Sul caso si sta mobilitando tutta la rete italiana dei Centri Antiviolenza. «Molto grave è anche che la giudice nel decreto definisca ogni tentativo della donna di difendere sè e i figli dalle violenze (quindi le varie denunce) come “attacco alla genitorialità” e “conflittualità”- spiega Mariangela Zanni del Centro Veneto Progetti Donna Onlus – mettendo la vittima sul banco degli imputati. E delegittimando il suo giusto diritto a difendersi, denunciare, uscire dalla violenza».

Gli abusi e il ricorso in appello

La mamma, che ora rischia di vedere il figlio obbligato a vivere con il padre condannato per violenza, ha fatto ricorso in appello, l’udienza è fissata l’1 luglio.«Non si è mai visto che in un decreto per l’affidamento di un minore non si tenga conto di una doppia condanna penale per violenza», ribadisce il Centro antiviolenza. È una lunga lista di abusi inflitti per anni alla donna, quella che emerge dalla sentenza di condanna dell’imprenditore. Violenza fisica con vari ricoveri in ospedale, minacce di morte quotidiane, privazione della libertà, dei soldi e anche del cibo, che hanno reso l’esistenza della donna un vero inferno. Nonostante questo, è riuscita a crescere e a proteggere come poteva i due figli. Il decreto civile firmato dalla giudice Chiara Ilaria Bitozzi invece la definisce «personalità borderline», senza test specifico, basandosi su una Ctu (richiesta tra l’altro dalla signora) che avrebbe dovuto valutare la capacità genitoriale di entrambi i genitori. 

Decisione che farà discutere

«Non è stata valutata la capacità genitoriale – denunciano dal Centro Veneto Progetti Donna Onlus – il tecnico della Ctu, poiché in quel periodo la signora prendeva blandi anti-depressivi per l’ansia, l’ha definita personalità borderline. Senza approfondimento clinico psichiatrico specifico». Una decisione che farà discutere. Sottolinea Paola Di Nicola, giudice penale nel Women Inspiring Europe del European Institute for Gender Equality: «Il pregiudizio radicato anche nei tribunali rende difficile la lotta contro la violenza. Basta pensare che l’inchiesta della Commissione parlamentare su femminicidio e violenza ha evidenziato che il 50per cento dei processi per violenza si conclude con l’assoluzione dell’imputato…».