(1) – Berlusconi: nessuno può dire se la ricetta Monti funziona

Il processo Mills “è un processo esemplare dal punto di vista politico e continua, quando ormai tutto è chiarito in maniera indiscutibile. Io sono completamente estraneo alla vicenda che è originata dalla volontà da parte di un avvocato di risparmiare con il fisco inglese”. Lo afferma Silvio Berlusconi ai cronisti lasciando Palazzo di Giustizia a Milano.

L’ex premier affronta diversi argomenti parlando con i giornalisti.

Governo. Commenta con l’auspicio: “ce lo auguriamo tutti” le parole del presidente del Consiglio Mario Monti che in Senato ha parlato di “contorni per uscire dalla crisi che iniziano a prendere forma”. Berlusconi, a chi gli chiede se la ricetta del suo successore possa funzionare e se fosse disposto a dare consigli a Monti, risponde: “non credo ci sia nessuno che possa dirlo. Io non sono uso dare consiglio a nessuno”. Sul futuro del governo è tranchant: “chiedetelo a Monti” se durerà. Incalzato dai giornalisti che gli domanda perché non voglia parlare di politica, dice chiaramente che “siamo in un momento in cui la politica non c’è”.

Lega. Le divisioni interne alla Lega “sono cose che si superano. Penso che il Carroccio possa continuare ad esser un partito unito”.

Processo Mills. “Io mi aspetterei una sentenza immediata di assoluzione con formula piena per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, invece hanno fissato una serie di altre udienze che sembrano indicative di una volontà negativa”. D’altronde, sull’eventualità di una sentenza di condanna, “come si spiega la cancellazione di tutti i nostri testimoni e la fissazione di udienze in più rispetto a quelle previste a 72 ore dalla prescrizione, se non con un’intenzione negativa?”. A chi gli domanda se abbia la sensazione, come i suoi legali, che i giudici milanesi possano arrivare a condannarlo, Berlusconi risponde: “non riesco a capire come possano scrivere una sentenza di condanna quando quello che ha dato i soldi ha detto di averli dati, chi li ha presi ha detto che li ha presi e poi c’e’ il tragitto dei soldi. Non riesco a capire come possano. E’ la dimostrazione dello stato preoccupante della giustizia italiana”.

(2) – Alfano: dopo questa manovra non accettiamo altri sacrifici

“Comincio da dove ho concluso il mio intervento il 16 dicembre per dire che anche questa volta abbiamo messo l’Italia prima di tutto, prima della maggioranza, del governo e degli egoismi di parte e proprio per questo abbiamo firmato una mozione con i partiti da cui ci separano tante cose. Quando vi è in gioco l’interesse nazionale allora noi indossiamo la maglia della nazionale e giochiamo per il bene del nostro Paese e degli italiani”. Lo afferma il segretario del Pdl Angelino Alfano in Aula alla Camera.

E ricorda: “fino ad un po’ di tempo fa si diceva a noi che dovevamo fare i nostri compiti e dopo le manovre del governo Berlusconi è difficile dirlo ancora”. Ringrazio “il presidente Monti per l’attestato di continuità con il governo Berlusconi”. Ma, ribadisce, “dopo” l’ultimo decreto ‘salva Italia’ “è ancora più difficile chiedere a noi di fare i compiti. Ora noi diciamo basta, l’Italia non deve fare altre manovre, non deve fare altri sacrifici, non dobbiamo andare in Ue con il capo cosparso di cenere. Certo, dobbiamo completare le riforme, quelle istituzionali, quelle sociali per un mercato del lavoro più aperto e moderno e vorremmo lo si facesse con la stessa velocità usata per le liberalizzazioni. E anche le banche devono fare la loro parte, ma ora tocca anche all’Europa”.

L’ex Guardasigilli, rivolgendosi poi a Monti, dice: “lei oggi va in Europa come forse mai nessun presidente del Consiglio ha potuto fare prima. Utilizzi questa occasione per il bene dell’Italia, per dire che noi non siamo pronti a finanziare con i sacrifici degli italiani le campagne elettorali degli altri leader o paesi europei. I soldi dei sacrifici italiani non servono per far fare bella figura a nessuno in Europa. Presidente Monti, vada in Ue e difenda il nostro orgoglio. Spieghi che l’Italia c’è e uscirà da questa crisi e che l’Ue senza il nostro Paese sarebbe un contenuto privo di storia e tradizione”.

Crisi/Van Rompuy ai leader: ora focus-lavoro per i giovani

La Ue deve ora concentrarsi sulla disoccupazione giovanile, sul mercato unico e sulle imprese: cosi’ il presidente della Ue Herman Van Rompuy nella lettera con cui invita i leader europei al summit del 30 gennaio.

(3) – E la Germania non è la padrona d’Europa

Angelino Alfano ha spiegato alla Camera perché il Popolo della Libertà ha scritto e votato assieme al Terzo Polo e al Pd la mozione congiunta di sostegno al governo sull’Europa.

  • Sì a difendere l’interesse dell’Italia, come quando si fa il tifo per la Nazionale.
  • No ad altre manovre ed altri sacrifici a danno dei contribuenti italiani per finanziare con i nostri soldi le campagne di leader stranieri.

In quest’ultimo punto il riferimento ad Angela Merkel è più che evidente: in Germania si vota nel 2013, e fino a pochi mesi fa la Cancelliera aveva perso tutte le elezioni nei land. E non è da ora che Alfano vi insiste: a dicembre scorso spiegò chiaramente come i tedeschi, imponendo rigore non solo agli altri governi dell’euro ma anche alle loro banche, e bloccando la Bce ed il fondo salva-stati, finanziassero di fatto il proprio debito a costo zero.

Ieri abbiamo avuto l’ennesima conferma. La Germania ha collocato bond trentennali a tassi nettamente in ribasso; mentre la Cancelliera, aprendo il Forum di Davos, ha fatto un’altra mezza marcia indietro sul contributo al fondo salva-stati, smentendo un impegno che Berlino ha preso in cambio del nuovo patto di bilancio europeo. “Abbiamo predisposto un fondo per gli aiuti d’emergenza e un altro per sostegni di più lungo periodo” ha detto la Merkel. “Noi tedeschi, lo dico con chiarezza, non vogliamo prendere impegni che poi non possiamo rispettare”.

E’ ora di dire ad Angela Merkel che la Germania non è la padrona d’Europa e che gli strumenti di difesa dell’euro non sono soltanto a sua discrezione. Che i “compiti a casa” chiesti all’Italia e ad altri paesi noi li abbiamo fatti, ma che ora ci aspettiamo che sia Berlino a mantenere gli altri impegni, perché non possono essere i contribuenti italiani a pagare i conti dell’economia tedesca (che tra l’altro ha in cifre assolute il terzo debito pubblico del mondo) né tanto meno la rielezione della Merkel.

Non solo. Il Fondo monetario internazionale ha detto chiaramente che a forza di manovre ultra-rigoriste, l’Italia andrà in recessione nel 2012 e 2013, e che potrà salvarsi solo se anche l’Europa fa la sua parte.

Ieri Monti ha precisato che “non chiediamo un euro né alla Germania né ad altri”. Bene, è il momento che spenda tutta la sua credibilità e la sua esperienza europea direttamente con la Cancelleria di Berlino. È per questo che è stato nominato a palazzo Chigi, ed è per questo che noi (che abbiamo la maggioranza in Parlamento e nel Paese) lo abbiamo lealmente sostenuto. Continueremo a farlo per l’interesse nazionale.

Ma tocca al premier e ai suoi tecnici fare l’interesse dell’Italia, mentre i tedeschi fanno molto bene i loro.

(4) – Analisi/La crescita? Tutti la cercano nessuno però sa dove stia di casa

Se è tanto per dire, lo ha detto ieri anche la Cancelliera Merkel: non bastano il rigore e l’austerità, l’Europa deve darsi da fare subito per creare nuovi posti di lavoro. Ma proprio davanti al consesso dei grandi economisti e finanzieri riuniti a Davos, la Cancelliera ha precisato che le possibilità della locomotiva tedesca, di quel Paese che potrebbe e dovrebbe trainare il rilancio di tutto il continente, “non sono illimitate”. Quindi, calma e gesso. Per ora la precedenza continua a spettare sempre e soltanto al rigore. Una doccia fredda, tanto che Il Sole 24 Ore commenta che la Germania è certa di “avere già dato” e che occorrerà “chissà quanto tempo” perché la signora Merkel possa cambiare idea e staccare quello che lei stessa chiama “un assegno in bianco”.

Al tempo stesso, davanti alla Camera, il Governo dei professori dice che è venuto il momento di “mettere la faccia” sulla crescita. Ecco qui, il rilancio, lo sviluppo, la crescita, la ripresa sono tutte parole equivalenti che indicano il grande obiettivo e la grande e irrisolta aspirazione dell’Unione Europea. Un obiettivo finora mancato, che tutti però continuano ad evocare ed invocare. Così si avanti: i programmi di sviluppo economico fioccano, le scelte ritenute decisive per la ripresa del sistema sembrano sempre sul punto di realizzarsi, ma intanto la disoccupazione cresce assieme al disagio giovanile e delle donne e sopratutto aumentano le tensioni sociali e gli scioperi. Da noi una volta tocca ai tassisti o ai camionisti, la volta dopo agli agricoltori e ai pescatori.

La verità è che le imprese italiane sono state colpite duramente dalla crisi, il Paese sta entrando in una altrettanto dura fase di recessione. Questa è la denuncia del presidente di Confindustria che avrebbe riscosso enorme attenzione da parte di giornali e televisioni al tempo del precedente Governo, ma che ora viene soltanto bonariamente registrata. Dinanzi a una previsione di recessione di due punti del Prodotto interno lordo, potrà mai bastare quel programma a singhiozzo di liberalizzazioni varato dal Governo dei professori per ridare una sferzata di energia all’Italia? Non basterà certo. E non si intravedono all’orizzonte le misure necessarie per tornare a sperare.

Si insinua il dubbio che prevalga ancora una volta su ogni altro obiettivo la necessità di tenere a freno quello “spread” con i Bund tedeschi che esprime la crisi del nostro debito sovrano. Il rigore la fa da padrone, la crescita resta quello spettro di Banquo che appare e scompare misteriosamente ma che non riesce proprio a realizzarsi mai.

(5) – Quello che il governo non dice: non si tocca il mondo del lavoro

Il governo tecnico godrà, magari per qualche settimana ancora, del favore di una opinione pubblica anestetizzata dalla crisi e dalla campagna mediatica che protegge l’esecutivo dei “ professori “ .

Ci sono però dei nodi irrisolti nel rapporto con l’Europa – e in particolare con la Germania – che stanno venendo al pettine sul mercato del lavoro che si rivela lo scoglio più pericoloso per avvicinare l’Italia alle richieste di Bruxelles .

La signora Merkel, che intelligentemente ha ripreso a lodare il governo Berlusconi per dare maggiore legittimazione al governo Monti, ci ha appena comunicato (con un’intervista in contemporanea a quotidiani italiani, spagnoli e polacchi) che non possiamo aspettarci aiuti ulteriori, se non realizzeremo proprio quelle riforme sul lavoro che la Germania ha realizzato dopo l’unificazione . La ricetta è ineludibile: far crescere la produttività e la propensione ad assumere con regole più flessibili migliorando contemporaneamente le tutele per chi il lavoro non ce l’ha o è da tempo inattivo.

L’attivismo del premier Monti, la disponibilità del ministro Fornero a recuperare un dialogo con le parti sociali, non debbono ingannare sulla insufficiente concretezza rispetto al nodo da sciogliere .

La prova? È davvero strano che dopo i due decreti legge già varati, compreso l’ultimo sulle liberalizzazioni, e mentre sarebbe in arrivo un terzo in materia di semplificazioni, il tema del “lavoro” sia affidato a un disegno di legge che si giustifica all’inizio di una legislatura e non certo in uno stato di emergenza economica a pochi mesi dal voto.

Il punto non è tecnico ma politico. L’adesione del cosiddetto centrosinistra italiano alla concorrenza e al mercato non è mai stata una scelta strategica ma solo tattica. Come dimenticare la campagna per il referendum sull’acqua e la difesa senza quartiere di questa sinistra, dei poteri degli enti locali e del capitalismo municipale? Insomma non esiste in Italia la sinistra che in Inghilterra e in Germania ha permesso e, talvolta ha creato, la concorrenza, viatico della crescita .

Ecco perché nonostante la chiara indicazione europea sul “superamento dell’articolo 18”, il nostro governo fatica a fare una sua proposta. Eppure il più “teutonico” tra i presidenti del consiglio non tedeschi dovrà presto mostrare una propria ricetta su questo nodo cruciale .