(1) – Analisi/L’incubo del debito francese pesa sul futuro dell’euro e dell’Italia

Il vertice di Bruxelles dello scorso fine settimana “non ha introdotto misure decisive per stabilizzare la zona dell’euro”. Questo è il commento generale alla riunione tempestosa che ha visto la Gran Bretagna di Cameron lasciare appunto l’Eurozona e anche qualcosa di più: in realtà, sta vacillando il sogno dell’Europa a ventisette membri, il mito della grande Europa allargata e proiettata verso il futuro. La crisi dell’euro purtroppo non è finita e nessuno è in grado di prevedere soprattutto quando, come e se finirà l’assalto della speculazione internazionale.

All’incertezza dei mercati si sommano infatti i negativi commenti di quelle agenzie di  “rating” che tanto hanno contribuito ad affossare la valutazione dei debiti sovrani. Molti si aspettano, a breve scadenza, una bocciatura della Francia: un taglio della tripla A, il massimo della fiducia degli investitori, attribuita fino adesso a Parigi, avrebbe ripercussioni a catena sull’euro. Ci potrebbe indurre a sostenere, con molta ragione, che la colpa di questa tempesta non è dell’Italia ma è globale, comprese dunque anche la Francia e la possente Germania. Ma sarebbe soltanto una vittoria di Pirro, una magra consolazione nel campo della politica nazionale contro una sinistra sempre più legata a un’ottica locale. Il danno futuro per l’euro e per tutti gli Stati europei si accrescerebbe, e la speculazione pur accanendosi contro i titoli di Stato francesi non lascerebbe certo in pace quelli italiani.

Che fare allora? Come innestare politiche virtuose di sviluppo e di rilancio dell’economia in presenza di misure fiscali e tagli di spesa che tendono a deprimere i consumi? Perché senza questi incentivi il futuro ci riserva soltanto recessione, calo di tutti gli indici e una sempre più grave situazione dal punto di vista della occupazione. Chi puntava tutto sul vertice di Bruxelles sottolinea come adesso la posizione britannica in difesa assoluta della City e dei suoi privilegi in campo finanziario si sia finalmente chiarita e come sia stata indicata una via per il mutamento dei trattati e quindi anche del ruolo della Banca Centrale europea. Ma i tempi di Bruxelles non hanno mai brillato per velocità, anzi. Le lentezze burocratiche, un ossequio eccessivo dei formalismi, le procedure molto complicate previste dalla presenza di così tanti Paesi membri, sono tutti elementi che tendono a rallentare i processi di difesa della moneta comune.

Saranno le prossime settimane, in coincidenza con l’avvio del nuovo anno, a dirci con chiarezza l’esito della grande battaglia per la difesa dei debiti sovrani. Tenendo conto che gran parte degli Stati coinvolti nella tempesta perfetta della speculazione non hanno più molte frecce nella loro faretra, perché più di tanti sacrifici rischiano di divenire alla fine insopportabili per la gente. In questa strettoia, quasi un passaggio delle Termopili, tra tagli già effettuati e rilancio economico ancora da mettere in moto, devono muoversi gli Stati europei e in particolare l’Italia. Sapendo bene che gli speculatori internazionali sono in grado di muovere capitali che raggiungono otto volte il livello totale dei Paesi più industrializzati.

(2) – Alfano: il nostro non è il partito delle tessere

Quella che si apre è una settimana ricca di appuntamenti e impegni per il Popolo della Libertà, come annuncia il segretario Angelino Alfano: “prosegue senza soste il rilancio del PDL. Sto mantenendo tutti gli impegni presi il primo luglio nel giorno della mia elezione:

1) questo fine settimana cominceranno i congressi provinciali e subito dopo verranno convocati quelli comunali.Il nostro è il partito dei tesserati e non delle tessere. Il partito fatto dal popolo.

2) è passato il principio secondo cui nessuno potrà avere più di un incarico, sarà vietato ricoprire contemporaneamente gli incarichi di assessore, presidente di provincia o sindaco e di partito. Una testa, una tessera, un voto, una sedia. Il rinnovamento va avanti.”

Alfano sottolinea anche che “da parte nostra non c’è alcun rallentamento sui tagli ai costi della politica e agli stipendi. Andiamo avanti è giusto così. Sarà il Parlamento ad assumersi la responsabilità della scelta, come ha già cominciato a fare sui vitalizzi. Su un tema così delicato il Parlamento non si faccia commissariare dal governo”.

Manovra/Rotondi, buon lavoro di Alfano, Pdl votera’ unito

”Alfano ha fatto un buon lavoro limando al massimo i provvedimenti pesanti della Manovra. Il suo atteggiamento e’ stato responsabile e condiviso da tutto il partito che, unito, la votera”’. Cosi’ Gianfranco Rotondi, membro dell’Ufficio di Presidenza del PdL. Però “il governo tenga conto delle sacche di disagio economico e sociale che ci sono nel Paese, altrimenti il rischio è che la manovra irrigidisca il sistema e non ne rilanci l’azione”.

(3) – Crisi/Dopo i sacrifici, crescita necessaria

La manovra di Monti porta la pressione fiscale al 45 per cento, un record storico, e quindi gli italiani pagheranno più tasse di sempre. Non solo: dalle case ai depositi, i nostri patrimoni saranno colpiti in maniera più o meno consistente.

Un esempio? L’Imu sulla prima casa – che prenderà il posto della vecchia Ici – insieme all’aumento della tassazione sulle seconde case e alla rivalutazione che farà volare in alto l’imponibile sulle rendite catastali (per un totale di 11 miliardi, nove dei quali resteranno allo Stato) porterà a un 60% in più che transiterà dalle tasche dei cittadini all’erario.

Quella delle pensioni, poi, con uno slittamento di sei anni dell’età pensionabile per i nati nel ’52 era una riforma che l’Europa chiedeva da tempo, e dunque andava fatta. E’ l’ora dei sacrifici per tutti, dunque, e nessuno dovrà tirarsi indietro. Il Pdl lo sta responsabilmente facendo, per far passare le misure di rigore economico a saldi invariati e prima di Natale, ma va detto subito che la prima manovra Monti non prevede misure per lo sviluppo, non aiuta le piccole e medie imprese e accentua l’invadenza dello Stato nella vita privata dei cittadini con una tracciabilità da Stato di polizia fiscale. Dunque, chiusa la fase uno, è indispensabile mettere mano alle misure per lo sviluppo. Anche su questo punto cruciale, esattamente come su quello del risanamento dei conti pubblici, non c’è un minuto da perdere.

Devono far riflettere i dati forniti dal governatore di Bankitalia, secondo i quali, oltre ad un pressione fiscale record, la manovra porterà un altro mezzo punto di calo del Pil. Sommandosi al meno 0,5 già previsto, si rischia un 2012 all’insegna delle recessione più nera. E lo scenario europeo non è certo migliore, con l’indecisionismo perenne che regna a Bruxelles a causa dei veti incrociati e con un direttorio franco-tedesco che fa acqua da tutte le parti. Sui mercati, poi, non sono alle viste schiarite di rilievo, visto che lo spread dei nostri titoli pubblici è risalito ben oltre quota 400, al di sopra cioè dei livelli del 5 agosto scorso, quando la Banca centrale europea inviò a Roma le sue condizioni ultimative con la famosa lettera.

Questa manovra era inevitabile, ma è l’ennesima che si è concentrata sul deficit e non sul debito, con 290 miliardi “prelevati” solo per correggere i disavanzi annuali. Una cifra che secondo Bankitalia e ministero dell’Economia corrisponde ad un sacrificio di 4.500 euro per ogni italiano.

Eppure il debito non scende, e continua ad oscillare intorno al 120 per cento del Pil.

Bene: è dunque l’ora di mettere mano alla dismissione del patrimonio pubblico che il governo Berlusconi aveva già concretamente impostato. Il valore in campo è di 1900 miliardi (proprio quanto il debito pubblico), e 700 di questi miliardi possono essere resi immediatamente fruttiferi. La parte immobiliare, ad esempio, vale 500 miliardi e di questi si può vendere in tempi brevi dal 5 al 10 per cento, cioè dai 4 ai 50 miliardi. E’ l’unico modo per uscire dalla spirale più tasse-meno consumi-meno gettito Iva-più disoccupazione-più spese sociali, che provocherebbe inevitabilmente – in futuro – nuovi buchi di bilancio.

(4) – Crisi/Dopo i vertici, spread in salita

Moody’s giudica “un fallimento” il summit europeo e minaccia, dopo Standard & Poor’s, di declassare tutti i governi dell’euro. Motivo: non è stata presa alcuna decisione concreta per il sostegno della moneta unica. Il New York Times indica l’Italia come primo problema europeo. Ma non era questa la manovra “salva Italia” e “salva Europa”? E soprattutto: perché queste cose scoprirle dalle notizie da oltreoceano? Lo spread, dopo la discesa, è tornato a salire. Ancora peggio il rendimento dei titoli pubblici: ma la cosa non fa più notizia. Il governatore di Bankitalia Ignazio Visco ha chiaramente indicato che la manovra sarà recessiva perché non c’è ancora traccia di misure per lo sviluppo. La pressione fiscale salirà almeno al 45%, ed il Pil scenderà di un altro mezzo punto. Ma secondo il titolo dell’editoriale Eugenio Scalfari su Repubblica, “I due Mario l’Europa l’hanno salvata”. Ovvio che “i due Mario” sono Monti e Draghi.

Il premier ha chiamato Cgil, Cisl e Uil per una “convocazione informale”, come sottolineato dal Sole 24 Ore. Gad Lerner è d’accordo: “Il sindacato torna a fare il suo mestiere”. Ci vogliono i sacrifici, è ovvio. Soprattutto per pensionati e proprietari di prime case. E’ La Stampa a spiegarlo meglio di tutti, con un inno in prima pagina: “Sacrifici segnali d’amore”. I toni sono lirici: “Oggi si intravedono segnali di speranza. Una speranza sostenuta da nuovi governanti che danno segni di voler essere politici nel vero senso della parola: uomini e donne al servizio della polis, della società, con lo stile di chi, consapevole della propria responsabilità, non ostenta, non vuole apparire e cerca di parlare con parresia, con franchezza e sincerità, perseguendo il bene comune. E’ in questo contesto che, nella comunicazione viva e fatta con tutta la sua persona da parte del ministro del Lavoro, abbiamo colto la verità della parola sacrificio: una commozione che ben ne ha mostrato la fatica, il costo, la necessità e la verità”:

A questo punto, viva i “Consigli ai compagni del Pd” del Manifesto: “Dolersi per i sacrifici del ceto medio. Consolarsi ricordando che però la prima alla Scala si è svolta in un clima di elegante sobrietà. Se qualcuno nomina il ministro Fornero ribattere ricordando il ministro Gelmini e far notare l’indiscutibile evoluzione della specie. Approvare l’Ici sulla prima casa. Disapprovare l’Ici sulla prima casa. Ricordare la sacrosanta tassa su yacht ed elicotteri, vanto del comunismo nel mondo…”.

(5) – Crisi/Dopo lo sciopero niente cambia

La chiamavano concertazione. Proclamazione dello sciopero, tavolo col governo, conferma dello sciopero. Lo sapevano i sindacati, lo sapeva Monti e tutti ma proprio tutti conoscevano il copione già scritto (prologo, svolgimento, finale) secondo uno stanco rituale senza sorprese, venuto ormai a noia perfino ai protagonisti (Bonanni entrando: “Vado allo sciopero”) e del quale il Paese ne ha ormai fin sopra i capelli. Tutti i giornali oggi “sparano” in prima pagina titoli già decisi il giorno prima (tipo “Monti-sindacati, è rottura”), ma i sindacati sapevano (e sanno) che il governo nulla avrebbe concesso loro, se non qualche timido e poco rassicurante “vedremo”. E nulla Monti avrebbe potuto promettere, dovendosi riservare le poche cartucce in tasca per andare incontro in Parlamento ad alcune richieste delle forze politiche che lo sostengono e trovare un’accettabile sintesi che renda politicamente digeribile una manovra che, per quanto criticabile in molti punti, andrà varata presto, come dimostra anche oggi la febbre dei titoli di Stato.

C’è un’emergenza, per senso di responsabilità Berlusconi si è dimesso da premier, per senso di responsabilità il Pdl ha fatto un passo indietro, per senso di responsabilità una grande maggioranza parlamentare composita ha deciso di sostenere lo sforzo di un governo di tecnici. Il sindacato con l’atto dello sciopero, che significa fermare il paese e la produzione, ha voluto marcare la differenza. Non è un buon segnale. Soprattutto perché rischia di apparire come un goffo tentativo del sindacato di sostituirsi alla politica nel momento in cui i partiti hanno fatto un temporaneo e responsabile passo indietro. I rimproveri della Camusso al Pd (evitiamo che la scelta di appoggiare il governo Monti da parte del Pd “si traduca nel non avere più nessuna politica”) e i balbettii con i quali Bersani si difende dicono proprio questo.

Ma il governo esiste in quanto sostenuto da una maggioranza di parlamentari eletti dai cittadini e sarà il parlamento a modificare e votare la manovra. Senza chiedere il permesso alla Cgil e nemmeno agli altri sindacati temporaneamente uniti.

(6) – Hanno detto/“La stangata c’è, la speranza no”

“La rigidità con cui il governo affronta il problema di urgenti modifiche della manovra, in direzione di una maggiore equità, non può non preoccupare”. Lo afferma Antonio Leone (Pdl), vicepresidente della Camera.

”Di certo – continua Leone – ci sono misure molto penalizzanti per le famiglie, ma alla vigilia della discussione alla Camera nulla sappiamo di quanto il presidente del Consiglio ha affettivamente concordato per l’Italia in sede europea, dove il direttorio franco-tedesco continua a dettare le condizioni. Tutto questo alimenta fra i cittadini il clima di incertezza e confusione”.

”Dovrebbero essere presentate alternative reali per quanto riguarda la ricerca di risorse utili a mitigare gli effetti pesanti della manovra, giudicata fortemente recessiva da economisti di opposte tendenze, ma non se ne vedono.”

“Purtroppo – conclude Leone – siamo solo di fronte a una raffica di aumenti in tempo reale che stanno mettendo in ginocchio le famiglie. C’e’ la stangata, mancano le speranze”.

Quagliariello: il PdL difenderà il bipolarismo con le riforme

”La politica potrà utilizzare questa fase emergenziale in due modi. O per rimescolare i partiti e archiviare il bipolarismo, rendendo strutturale una situazione del tutto eccezionale, come vorrebbe il senatore Pisanu. O per rafforzare il bipolarismo, aggiornare le regole istituzionali, rendere la nostra democrazia più efficiente e migliorare la qualità stessa dei due schieramenti senza smantellarne le fondamenta”. Lo dichiara Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo vicario del Pdl al Senato.

“Il Pdl -prosegue- seguirà senza indugi questa seconda strada, coerentemente con la sua storia e con quella modernizzazione del sistema politico che rappresenta il più grande contributo fin qui dato dal centrodestra alla democrazia italiana. La risposta a quanti vorrebbero archiviarlo e chiudere questi diciassette anni fra due parentesi – conclude Quagliariello – sarà un impegno ancora più determinato sul terreno delle riforme istituzionali”.

(7) – Cicchitto: non c’e’ Monti nel nostro futuro

“Siamo spiacenti, ma non possiamo seguire il sen. Pisanu nei suoi sofisticati progetti politici”. Secca replica del capogruppo del Pdl alla camera, Fabrizio Cicchitto alla intervista di Beppe Pisani nella quale il presidente dell’Antimafia aveva di fatto candidato Monti a Palazzo Chigi nel 2013 quale ”rappresentante delle forze più responsabili”.

Da un lato, infatti, il Pdl e il Pd – spiega Cicchitto – ”rimangono alternativi malgrado il senso di responsabilità li abbia portati ad appoggiare il governo Monti e anche ad assumere una posizione costruttiva nei confronti di un decreto che in alcune sue parti allo stato non ci convince. Quanto poi alla ipotizzata guida del presidente Monti di un imprecisato schieramento politico alle prossime elezioni, per quello che ci riguarda siamo fermi all’impegno di non presentarsi alle prossime elezioni da lui solennemente preso nel momento nel quale ha ottenuto il nostro appoggio per la nascita di questo governo”.

Bondi: le parole di Pisanu non giovano al lavoro di Monti

“Il presidente Monti sta lavorando bene, senza finalità di carattere politico nell’esclusivo interesse del Paese. Le fantasiose e interessate ipotesi politiche formulate oggi da Pisanu non giovano alla necessaria tranquillità del lavoro di Monti e denotano una politica che non si concentra mai sui problemi reali del presente e si abbandona sempre a formule oltretutto controproducenti”. E’ la dura replica che arriva alla proposta avanzata oggi dal Presidente dell’Antimafia da parte del senatore Sandro Bondi.

Matteoli: Pisanu sbaglia i conti

”Sorprende che un uomo politico dell’esperienza di Pisanu incoroni gia’ Monti quale possibile futuro candidato premier a meno di un mese dal suo insediamento e a prescindere dal suo operato. Noi abbiamo votato il governo Monti e lo appoggeremo in Parlamento ma la politica deve tornare molto presto ad assumersi la responsabilità di guidare il Paese”. Lo dice il senatore del Pdl Altero Matteoli. ”Pensavamo e pensiamo che questo fosse evidente a tutti. Inoltre, non possiamo condividere che il governo Monti, che deve restare un momento transitorio, rappresenti il superamento del sistema bipolare. Le ammucchiate non servono alla democrazia, se qualcuno spera che grazie a Monti si possa ristabilire in Italia un sistema che non preveda alternanza ma alcuni che governano sempre ed altri che sono condannati all’opposizione ha sbagliato i conti”.

(8) – Il Pd si interroga: chi siamo e dove andiamo

C’è una citazione d’annata (1963) di un discorso parlamentare di Togliatti, tornata di attualità, che fa discutere a sinistra: “I governi cosiddetti amministrativi o tecnici sono sempre stati i governi più seriamente e pericolosamente politici che il paese abbia avuto”.

Citazione utilizzata dalle correnti del Pd interessate a circoscrivere il senso del sostegno dato al governo Monti, per non affondare nella politica di solidarietà nazionale il rapporto con i compagni che hanno scelto di collocarsi all’opposizione. Come i partiti di Vendola e Di Pietro e, soprattutto, come l’opposizione sindacale, lanciata verso lo sciopero generale contro la manovra del governo dei professori.

Lo spaesamento è la condizione naturale della sinistra orfana di Berlusconi. L’antiberlusconismo viscerale, indossato come una maschera identitaria per coprire contraddizioni irrisolte, non regge al mutamento delle condizioni politiche. Di conseguenza, la sinistra si trova alle prese con la risposta da dare all’implacabile interrogativo di tutti i nuovi inizi: chi siamo e cosa vogliamo.

La difficoltà di  reperire una sintesi accettabile per tutte le anime del partito, evoca il rischio del divorzio tra la frazione riformista e quella condizionata dalla persistenza dei residui dell’ideologia. Da problematica, la convivenza nello stesso soggetto politico tra chi cerca raggi di speranza nell’adeguamento alla realtà del mondo, e chi li trova nell’aggancio alle antiche pulsioni di cambiamenti radicali dell’esistente, tende a rivelarsi un’impossibilità pratica.

Accettando la corresponsabilità dell’operazione di salvataggio nazionale, il maggior partito della sinistra si è inchinato al principio che da sempre regola i comportamenti politici nelle democrazie mature: bisogna fare leva sui due remi, se si vuole dirigere la barca dello Stato verso una qualsiasi direzione. Se manovrata con un solo remo, la barca gira in tondo e non va da nessuna parte. O fa naufragio, nelle situazioni di emergenza.

Ma c’è modo e modo di vivere la corresponsabilità imposta dalle circostanze.

Un modo è quello di viverla con doppiezza, come fu per il doppio binario seguito dal Pci di Togliatti al tempo dei governi di Cln, e anche per la scelta “di lotta e di governo” che fu quella del Pci di Berlinguer nella stagione del compromesso storico. E come sarebbe oggi, se il sostegno parlamentare assicurato alle misure di rigore del governo dei professori fosse contraddetto dall’offerta di una sponda politica agli scioperi della Cgil.

Un modo diverso, più carico di futuro, richiederebbe che il Pd ripensasse la strategia che lo ha portato fin qui a barare al gioco della democrazia ogni qualvolta, dall’opposizione, ha scelto di criminalizzare il “nemico” per forzare con metodo eversivo  la via del governo. Con una sinistra finalmente da “paese normale”, l’anomalia italiana sarebbe tagliata in radice.

L’intero caleidoscopio delle alleanze possibili non sarebbe più quello che è stato fin qui. La battaglia campale tra i “riformisti”, da Veltroni a Renzi, i conservatori alla maniera di Fassina e gli opportunisti come Bersani e lo stesso D’Alema è appena cominciata. Molto dipenderà da come andrà a finire.

(9) – “Il miracolo Monti non c’è stato!”

Rassegna stampa

Il Sole 24 Ore (Andrea Maria Candidi) – Tempi supplementari lunghissimi prima del fischio finale. La “partita” della manovra Monti si potrà chiudere solo una volta emanati 80 tra atti e decreti attuativi, sui quali grava peraltro il giudizio del Parlamento che in ogni momento potrebbe suggerirne di nuovi. Scorrendo i 49 articoli del decreto legge 201 ci si imbatte in 77 rinvii a provvedimenti successivi (solo un terzo dei quali con una scadenza precisa). E sebbene materie e natura siano varie ed eterogenee, la partita è concentrata in poche mani. Quelle di Mario Monti, naturalmente, che solo come ministro dell’Economia si è riservato 13 appuntamenti. E quelle di Corrado Passera, che nella veste di doppio ministro dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture si è accaparrato rispettivamente 9 e 7 decreti di attuazione …

Il Corriere della Sera (Alberto Alesina e Francesco Giavazzi) – Nel decreto varato domenica scorsa dal governo … mancano misure al cui assenza ci ha sorpreso … L’errore è proprio qui, nel ritenere che la crescita dell’economia sia indipendente dalle manovre sui conti pubblici e soprattutto dalla loro composizione (aumenti di tasse o tagli alle spese) … misure costruite prevalentemente aumentando le tasse sono molto più recessive di quelle costruite riducendo le spese … Ridurre le spese significa che in futuro le tasse saranno meno gravose, mentre senza tagli le imposte continueranno a inseguire la spesa … Il presidente del Consiglio queste cose le conosce: ecco perché ci stupisce la composizione della manovra, fatta per lo più di maggiori tasse … Poiché, come dicevamo all’inizio, questa manovra sarà recessiva, è urgente compensarla subito con riforme strutturali, prima che la recessione si faccia sentire in pieno … Se questo governo si ferma, anche solo qualche settimana, anziché passare alla storia come il salvatore dell’Italia – e potrebbe davvero esserlo – sarà travolto dalla corrente dei mercati …

Panorama (Giuliano Ferrara) – … Lo sviluppo di un’economia non è una formula alchemica. E’ produzione di maggiore ricchezza socialmente diffusa. E’ vitalità delle imprese. E’ squilibrio territoriale e sociale, partenze e accelerazioni incentivate dalla spinta all’accumulazione e al profitto. E’ diffusione transitoria di nuove ineguaglianze, altro che equità. E’ stimolo a farsi sotto, a intraprendere, a difendere delle rapaci mani di uno Stato onnipotente uno spazio che è privato. Sviluppo è uguale a Berlusconi, sulla carta sono sinonimi. E se Berlusconi non è riuscito, impaludato in un sistema di decisione ritardata, di connessioni concertative e di lacci, fatto apposta per impedire un sano sviluppo capitalistico, figuriamoci cosa potrà fare il governo dei tecnici. La riforma dell’anzianità pensionistica e la tassa sulla prima casa si, e per decreto,  così i mercati si impressionano e vedono che a tasse e prelievi su milioni di vecchie  proprietari di immobili Monti è imbattibile, o almeno è competitivo. Ma lo sviluppo è un’altra cosa, e non è sinonimo di governo tecnico …

L’Unità (Massimo Franchi) – Il «miracolo» non c’è stato. Serviva quello, come aveva anticipato Susanna Camusso, perché l’incontro di ieri sera fra Monti e i sindacati portasse alla revoca dello sciopero. E così non è stato. Oggi dunque, a sei anni di distanza dall’ultimo del novembre 2005, si terrà lo sciopero generale unitario di tre ore da parte di Cgil, Cisl, Uil e Ugl …

Il Sole 24 Ore (Lina Palmerini) – … La foto che sembra ingiallita e vecchia di anni è quella di Vasto: un’immagine in cui si vedono tre leader di partito stretti in un’alleanza elettorale definitiva e senza alternative. Pierluigi Bersani, NichiVendola e Antonio Di Pietro erano sospinti dai sondaggi e dalla consapevolezza che tanto l’Udc di Pier Ferdinando Casini sarebbe andata per la sua strada. Adesso, anche da questo lato della politica, quella coalizione si scompone sull’impatto della manovra Monti. La cronaca di questi giorni racconta di un Bersani ai ferri corti con Di Pietro e di un Vendola che segue più il malessere e la protesta che il motto responsabile del Pd “prima il Paese” … Se la manovra oggi fa male più al Pd, la revisione del mercato del lavoro lo mette spalle al muro con le sue contraddizioni. Quelle di un partito in cui convivono Pietro Ichino e Stefano Fassina; Enrico. Letta e Cesare Damiano. Culture politiche molto diverse, che convivono in un amalgama ancora poco riuscito …

Il Corriere della Sera (Pierluigi Battista) – Con la nascita del governo Monti, i rapporti tra le due sinistre giornalistiche, quella della Repubblica e quella del Fatto quotidiano, si sono fatti decisamente meno cordiali. Per la verità, i primi a picchiare sono stati quelli di Repubblica con Eugenio Scalfari che ha dato con brutale perentorietà dell’«imbecille» a chi osa criticare Monti … Può avere torto o ragione, argomenti a favore o argomenti contro, ma non importa, «perde tempo». Non bada alla sostanza della questione: la cacciata del nemico. Ancora un passo e siamo all’«oggettiva» connivenza, all’accusa di «fare oggettivamente il gioco di». Ma siamo ancora al passo precedente. Con un’avvertenza: il giornalismo appiattito con ortodossa inflessibilità sulle posizioni di un governo tende a diventare noioso, grigio, ripetitivo, trionfalistico dal sapore «bulgaro», come si diceva un tempo. Invece la critica e l’opposizione giovano alla vitalità di un giornale … Peccato. Peccato per i giornali e per la sinistra

Il Giornale (Adalberto Signore) – Tira il fiato il Cavaliere e resta alla finestra, in attesa si scavalli il Natale e si apra quella «nuova fase» dove «tutto può accadere» e per la quale «dobbiamo farci trovare pronti». Insomma, pur non condividendo in toto la manovra, soprattutto sul fronte Ici, Silvio Berlusconi sa bene che il via libera del Pdl non è in discussione. Fiducia o non fiducia, l’ex premier tutto può fare fuorché mettersi di traverso e rischiare di far saltare non solo l’Italia ma anche l’Europa. Eppoi, l’ha detto anche pubblicamente, «molte delle misure» previste dal governo Monti sono condivisibili e «se la nostra maggioranza non fosse stata divisa le avremmo prese anche noi»

(10) – I lavori di Camera e Senato

Lunedì 12 dicembre

Senato: il presidente, Renato Schifani, interviene alla presentazione del libro ‘PhotoAnsa 2011’ (Sala Zuccari, Palazzo Giustiniani, ore 17,30).

Camera: il presidente, Gianfranco Fini, riceve una delegazione di ambasciatori della Lega Araba (Montecitorio, Sala del Cavaliere, ore 11).

Senato: commissioni Affari costituzionali e Bilancio – ddl pareggio di bilancio (opre 16.30).

Martedì 13 dicembre

Camera: commissione Agricoltura – audizioni, nell’ambito dell’esame dello schema di decreto legislativo recante misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura: ore 13, rappresentanti delle associazioni Greenpeace, Legambiente, Marevivo e Ocean2012 – ore 13.30 rappresentanti delle organizzazioni Agci Agrital-Pesca, Anapi Pesca, Api, Federcoopesca, Federpesca, Impresa Pesca, Lega Pesca, Unci Pesca e Unicoop Pesca.

Camera: giunta per le Autorizzazioni a procedere – esame della domanda di autorizzazione all’utilizzo di intercettazioni telefoniche nei confronti di Saverio Romano, esame della domanda di autorizzazione all’esecuzione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di Nicola Cosentino (ore 12).

Senato: Aula – mozione Calderoli in materia di riforme istituzionali e valorizzazione degli Enti territoriali (ore 16.30).

Senato: commissioni Affari costituzionali e Bilancio – ddl pareggio di bilancio (ore 9.30, 14.30 e 20.30).

Senato: commissione Sanita’ – audizione commissario straordinario della CRI (ore 15,30).

Senato: commissione Lavoro – seguito delle comunicazioni del ministro del lavoro e delle politiche sociali sugli indirizzi generali della politica del suo dicastero (ore 12).

Senato: commissione Finanze – ddl pareggio di bilancio (ore 14.30). Commissione Lavori pubblici – audizione del ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera.