Il Senato ha dato il via libera al d.d.l. 1611 sulle intercettazioni;
il testo, a seguito degli emendamenti, sul quale è stata posta la
fiducia, è stato approvato con 164 voti favorevoli e 25 contrari.

Dura la reazione da parte dell’opposizione, la quale ha abbandonato
l’aula in segno di protesta sancendo quella che viene definita “la
morte della libertà”.

Forti critiche non sono mancate anche da parte dell’Associazione
Nazionale Magistrati (ANM), secondo la quale, come sottolineato dal
presidente Luca Palamara: “Il d.d.l. sulle intercettazioni metterà
in ginocchio l’attività di indagine dei pm e della polizia, oltre a
limitare la libertà di informazione; e depotenziare questo strumento
investigativo significa inevitabilmente garantire l’impunità a chi
commette reati”.

Riportiamo sommariamente, qui di seguito, i punti salienti del d.d.l.
che ha avuto il via libera del Senato con il voto di fiducia.

I nuovi limiti alle intercettazioni

Le intercettazioni diventano possibili solo nel caso di reati puniti
con più di cinque anni di reclusione (ad esempio, reati contro la
Pubblica amministrazione, stalking). I telefoni possono essere messi
sotto controllo per un massimo di 75 giorni ma, se ve n’é la
necessità, possono essere concessi altre 72 ore prorogabili, di volta
in volta, previa autorizzazione del tribunale collegiale, qualora
esistano elementi fondanti per l’accertamento del reato o
indicazioni rilevanti per impedire la commissione di un reato.

Per i reati più gravi (come, ad esempio, mafia, terrorismo, omicidio
ecc.) le intercettazioni sono possibili per 40 giorni, ma possono
essere prorogate dal tribunale con decreto motivato per periodi
successivi di venti giorni, qualora permangano gli stessi presupposti,
entro i termini di durata massima delle indagini preliminari.

Le sanzioni

Gli atti delle indagini in corso non possono essere pubblicati tra
virgolette ma solo in forma di riassunto, sempre che si tratti di atti
non più coperti da segreto. Nel caso di pubblicazione testuale, gli
editori possono essere puniti con la multa fino a 300mila euro.

Le intercettazioni non possono essere pubblicate, nemmeno per
riassunto, fino alla conclusione delle indagini preliminari, anche se
non più coperte da segreto istruttorio: in caso contrario gli editori
sono punibili con la pena della multa di 300 mila euro, che può
salire fino a 450 mila euro nel caso in cui vengano intercettate
persone estranee ai fatti o di intercettazioni destinate alla
distruzione (ovvero di conversazioni ininfluenti ai fini
dell’inchiesta).

Per quanto riguarda i giornalisti, questi rischiano fino a 30 giorni
di carcere o una sanzione fino a 10.000 euro nel caso di pubblicazione
di intercettazioni durante le indagini o di atti coperti da segreto.

Ricusazione: è necessario il parere della Procura

Si tratta di una delle problematiche più spinose del d.d.l. sulle
intercettazioni. Il disegno di legge imponeva l’abbandono
dell’inchiesta al magistrato indagato anche a seguito a una denuncia
per fuga di notizie; detta in parole povere, era sufficiente il
semplice sospetto che fosse l’imputato il responsabile della
diffusione di informazioni coperte dal segreto: un’arma, questa,
formidabile per quest’ultimo, al quale sarebbe stato sufficiente
comprare una carta bollata e inoltrare la denuncia per rallentare e
rendere più complesso il procedimento a suo carico. Il d.d.l.
prevedeva anche l’astensione del pubblico ministero che avesse
rilasciato pubbliche dichiarazioni sulla sua inchiesta. La situazione
è cambiata; l’avvicendamento automatico viene sostituito con una
valutazione del capo dell’ufficio, con la conseguenza che sarà il
responsabile della procura, a decidere se il suo sostituto dovrà o
meno farsi da parte.

Cimici

E’ fatto divieto di piazzare microfoni in casa o in automobile al
fine di registrare le conversazioni degli indagati. Le intercettazioni
saranno consentite al massimo per tre giorni, prorogabili di altri
tre.

Talpe: carcere da uno a sei anni

Chi passa alla stampa intercettazioni o atti coperti dal segreto
istruttorio rischia da uno a sei anni di carcere.

Le riprese tv

Non potranno essere eseguite riprese televisive durante in processi,
senza il consenso di tutte le parti. Lo stesso divieto riguarda anche
le immagini dell’aula giudiziaria. Sarà sufficiente anche il
dissenso di un perito o di un consulente tecnico affinché l’aula
sia off-limits per le telecamere. Tale limitazione non attiene solo
alla ripresa del volto dell’imputato ma si estende alle immagini
generali dell’aula di giustizia, degli avvocati o del pubblico
ministero.

Garantito il diritto di cronaca

Le registrazione carpite di nascosto sono permesse ai giornalisti
professionisti e pubblicisti. L’eccezione è diretta a garantire ai
professionisti il diritto all’informazione, sancito dall’art. 21
della nostra Carta fondamentale. Le registrazioni possono essere
realizzate anche se c’é in ballo l’interesse dello Stato oppure per
dirimere controversie giudiziarie.

Intercettazioni e clero

Nel caso in cui il soggetto intercettato sia un sacerdote è
necessario avvertire la discesi; se l’intercettato è un vescovo, il
pubblico ministero deve avvertire la segreteria di Stato vaticana. La
norma, contemplata dal comma 24 dell’art. 1, presenta una chiara
attinenza alle inchieste sulla pedofilia che vedono indagati numerosi
sacerdoti. Inevitabili le critiche da parte dell’opposizione in
merito ad un tale privilegio concesso al clero, mentre i pubblici
ministeri temono che la rivelazione di notizie riservate possa
pregiudicare le indagini in corso.