Il 26 settembre si è svolto ad Alessandria, come preannunciato su questo stesso sito, l’importante seminario su una tematica particolarmente scottante e di attualità: lo stalking. Un termine che indica una serie di atteggiamenti tenuti da un individuo, i quali atteggiamenti sono vòlti ad affliggere un’altra persona, perseguitandola ed ingenerando stati di ansia e paura. Tali comportamenti possono arrivare, spesso e volentieri, a comprometterne il normale svolgimento della vita quotidiana. Ho avuto il l’onore e l’onere di essere uno dei relatori del seminario, a cui ho cercato di contribuire attraverso la mia competenza acquisita sul campo e il conseguente approfondimento giuridico che ne è derivato ma anche e soprattutto grazie allo studio fatto dal Settore Antistalking del Centro Studi dell’ API (Associazione Poliziotti Italiani), diretto dalla dott.ssa Valentina Giannelli. Per tutti coloro che non sono potuti venire al seminario, vorrei farvi partecipi in modo indiretto pubblicando qui di seguito il mio intervento.

STALKING

Il D. L. n.11 del 23/02/2009, all’articolo 7, inserisce nel nostro ordinamento una nuova norma penale incriminatrice, prevista dall’art. 612 bis, intitolata: Atti Persecutori.
La presente norma si è resa necessaria per una necessità sociale di fare fronte ad un problema emergente di portata non irrilevante. Il bene oggetto di tutela è l’andamento sereno della vita degli individui, infatti, viene palesamente espressa la necessità che la condotta abbia un valore incisivo nella vita della vittima. La minaccia o la molestia deve essere sufficiente a ingenerare nella vittima la convinzione di trovarsi in una situazione di pericolo concreto, ovvero da procurare degli stati di ansia. La condotta deve aver, in alternativa, ottenuto il risultato di spingere la vittima a cambiare abitudini di vita.

Mentre per quanto attiene all’ “… ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva…” il dettato è palesemente chiaro, meritano un approfondimento le altre due previsioni. La condotta deve cagionare un grave e perdurante stato di ansia o di paura, tale situazione è per la quasi totalità dei casi presente nelle vittime. Durante i colloqui avuti con le vittime, in sede di denuncia, anche in periodi antecedenti l’entrata in vigore dell’attuale normativa, le vittime hanno sempre manifestato un forte stato di stress dovuto alla situazione, spesso, durante il colloquio, hanno iniziato a piangere, quale sfogo di uno stato di ansia trattenuto all’interno. Tale valutazione fatta da operatori di polizia in sede di denuncia o di interventi, non appare sufficiente per l’applicazione della norma, sarà, infatti, necessaria l’acquisizione di documentazione sanitaria attestante lo stato della vittima.

La previsione circa la modifica delle proprie abitudini di vita da parte della vittima, è in moltissimi casi una necessaria conseguenza per arginare la portata del fenomeno, basti pensare al soggetto costretto a cambiare numero di telefono personale per far cessare le continue, indesiderate telefonate. Vi sono situazioni anche peggiori, soggetti che hanno dovuto cambiare residenza e frequentazioni, pur di evitare il quotidiano incontro con la persona indesiderata che si sistema in prossimità dell’abitazione o del luogo di lavoro.

Queste condotte, testè citate, hanno un denominatore comune, privano la vittima della propria libertà, con tutti quegli effetti nocivi che si riflettono sulla psiche, oltre il fatto che creano un possibile e concreto danno materiale. Tale previsione normativa è afferente la consumazione del reato ed i provvedimenti giudiziari che ne conseguono, ma il legislatore, con l’articolo 8 del medesimo D.L. ha voluto introdurre un mezzo che può e deve essere attivato all’insorgere della condotta persecutoria, questo è l’“Ammonimento”.

L’Ammonimento è un provvedimento emesso dal Questore della Provincia ove i fatti si sono verificati, con il quale il presunto autore delle molestie viene avvisato circa l’obbligo di rideterminarsi ad una condotta ossequiosa della normativa vigente, interrompendo così la condotta persecutoria.
Perché possa essere emesso il provvedimento di ammonimento, è necessario che la vittima si presenti presso l’autorità di P.S. esponendo la situazione e chiedendo esplicitamente che l’autore venga ammonito. Condizione necessaria per presentare l’esposto con richiesta di ammonimento è l’assenza di un iter giudiziario già attivato, infatti, la norma recita testualmente “Fino a quando non è proposta querela per il reato di cui all’art. 612 bis c.p.”. In questa maniera il legislatore ha voluto inserire uno strumento che fosse deflattivo del carico di procedimenti pendenti presso gli uffici giudiziari. L’auspicio che l’ammonimento possa ricondurre gli autori delle condotte censurate ad uno stile di vita pienamente legale, sembra possa essere assolutamente condivisibile. Di norma, in questa tipologia di reati, l’operatore di polizia si trova di fronte a persone non dedite ad attività criminali, bensì a soggetti che, in preda alla propria debolezza, hanno perso il controllo della situazione, andando a ledere la libertà della vittima, molto spesso, senza rendersi conto della gravità della condotta.

A seguito dell’esposto presentato dalla vittima, l’Autorità di P.S. dovrà attivarsi al fine di verificare quanto dichiarato, effettuando ogni tipo di accertamento che si dovesse rendere necessario per considerare comprovate le dichiarazioni. Sarà possibile ascoltare testimoni, così come acquisire certificazioni mediche ed ogni altro tipo di documento che possa far considerare leso il bene oggetto di tutela della norma penale incriminatrice. Al termine della ricognizione sugli elementi comprovanti l’avvenuta condotto persecutoria in danno della vittima, il Questore della Provincia, se ne rinviene gli elementi necessari, emette il provvedimento di ammonimento, del quale viene data notizia all’interessato a mezzo notifica, per la quale viene redatto apposito processo verbale. L’ammonimento dovrà essere circostanziato circa la censurata condotta da interrompere, ma allo stesso tempo conterrà un preciso invito a “….tenere una condotta conforme alla legge…”.

La recente adozione di tale misura ancora non consente una rilevazione statistica della effettiva efficacia della misura dell’ammonimento, ma da una prima impressione derivante dalla esperienza quotidiana di un Commissariato di P.S., sembra che i primi risultati confortino l’intento del legislatore.
L’ammonimento, però, non è solo una misura di prevenzione che vive di vita autonoma, bensì, costituisce una punto di partenza per un successivo iter giudiziario, qualora l’autore delle condotte persecutorie non vorrà ottemperare all’invito del Questore. Il citato articolo 8, che ha introdotto l’ammonimento, al numero 3 ed al numero 4, va ad inserirsi nella norma penale, allorquando prevede un aumento della pena e la procedibilità d’ufficio per i reati commessi da soggetto già ammonito.

L’ammonimento, in realtà, è uno strumento importantissimo a disposizione delle forze di polizia in sede di prevenzione, ma per comprendere meglio l’efficacia del nuovo istituto è necessario un breve spaccato sulla realtà degli atti persecutori, o come oggi si usa dire “Stalking”. In primo luogo bisogna precisare che la grande maggioranza dei casi traggono la loro origine da relazioni sentimentali terminate, ovvero da sentimenti mai corrisposti dalla vittima. In queste circostanze lo “stalker” pone inessere una continuo di attività che consento allo stesso di presenziare nella vita della vittima contro la volontà di quest’ultima. Al reo tutto ciò serve per tenere in piedi una relazione cessata o di crearne una, nel caso non vi sia mai stato niente di personale in precedenza.

Il caso più semplice delle continue telefonate o dei messaggi di testo via cellulare, non sono finalizzati ad avere una risposta dalla vittima, altrimenti all’ennesima vana telefonata o al messaggio mai contraccambiato, l’autore della condotta dovrebbe terminare, ma così non avviene. In realtà esiste gente che è andata avanti anche anni, continuando ad inviare messaggi o a fare telefonate, come se il destinatario delle attenzioni fosse in attesa delle stesse. In realtà, il semplice fatto di perseverare nelle chiamate, costituisce di per se un legame che lo stalker tiene in piedi contro la volontà della vittima, soddisfacendo così la propria esigenza di sentirsi ancora parte del rapporto.

Purtroppo la tipologia di condotte persecutorie è molto vasta e non è possibile elencarle tutte, ma alcuni esempi debbono necessariamente essere oggetto di attenzione. Oltre il più diffuso e citato molestatore telefonico, soggetto raramente pericoloso e spesso ignaro della gravità della condotta tenuta, vi è quello del vero e proprio stalker. Soggetto assolutamente consapevole di quanto egli stesso sta ponendo in essere, ma non curante degli effetti nocivi della propria condotta. Questo, di solito, impone la presenza alla vittima ogni volta che ne ha la possibilità, utilizzando, all’occorrenza, anche la forza pur di non vedersi sfuggiore ciò che lui considera come un bene di sua proprietà e non una persona soggetta di diritti individuali. Un terzo, più subdolo, è quello che dissimula, ossia, esistono soggetti che creano ad arte situazioni persecutorie in danno di una vittima, individuando in qualche altro soggetto l’autore, presentandosi così alla vittima come amico e sostegno nella situazione disagevole vissuta dalla stessa.

La necessità di presentare queste poche tipologie di condotte persecutorie si rende necessaria per alcune considerazioni successive. Molto spesso gli atti persecutori rimangono tali e non andranno a mettere in pericolo l’incolumità della vittima, ma non sempre è stato così. Purtroppo, la condotta dello stalker può essere soggetta ad una escalation che ha portato in talune circostanze anche all’omicidio. Non importa quale sia stata la condotta con cui è iniziata l’attività persecutoria, la gradazione della stessa può subire delle impennate per fattori interni alla psiche dello stalker, così come per fattori esterni. Di qui nasce, in maniera del tutto palese la estrema necessità di inserire uno strumento che vada ad innestarsi sulle condotte, bloccando le stesse, affinchè non rechino danno ulteriore alle vittime, ma soprattutto perché venga impedita anche la semplice possibilità di una escalation di violenza. Alla luce di quanto citato, appare in tutta la sua importanza la figura dell’ammonimento, a questo punto, non solo strumento per interrompere la condotta e restituire alla vittima la propria vita, ma per allontanare qualsiasi possibilità di vedere quest’ultima esposta a rischio della propria incolumità.

Nel caso in cui l’ammonimento non dovesse sortire gli effetti desiderati e sperati, viene ad essere instaurato il procedimento penale. Anche in quest’area, il legislatore ha introdotto delle misure innovative correlate al reato di cui all’art. 612 bis, infatti, nel Libro Quarto del codice di procedura penale, in seno alle misure cautelari, tra le misure coercitive, è stato introdotto l’art. 282 ter. Tale novità prevede per il giudice la possibilità di emettere un provvedimento che “…dispone il divieto di avvicinamento…”, in pratica il giudice prescrive all’imputato un vero e proprio divieto dal portarsi nei luoghi ove possa incontrare la vittima. Nella previsione normativa della misura viene disposto un analogo provvedimento anche in favore dei familiari della persona offesa, e di quelle persone che, a causa del rapporto affettivo con quest’ultima, possono in qualche modo trovarsi coinvolte nella vicenda. Qualora vi siano necessità lavorative che dovessero rendere necessaria la presenza della persona offesa e dell’indagato nello stesso luogo, il giudice avrà comunque la possibilità di imporre una regolamentazione o dei limiti.

La normativa prende in considerazione anche il continuo progresso tecnologico, affidando al giudice la possibilità di imporre il divieto di utilizzo di qualsiasi mezzo di comunicazione se impiegato per contattare la persona offesa o quelle ad essa correlate.
Esaminando la misura descritta viene alla mente il “Restrining order” del sistema giuridico statunitense, più volte auspicato ed invocato da tutte quelle associazioni che negli ultimi anni si sono attivate per l’introduzione di queste misure atteso il grande numero di vittime. La citata misura in vigore da tantissimi anni negli USA non è altro che un ordine restrittivo il quale, in virtù di quanto disposto dal giudice, fissa una distanza metrica che deve essere mantenuta dal reo nei confronti della vittima, la cui violazione comportava di per se l’arresto da parte delle forze di polizia. A tal riguardo, nulla rilevava se nel tal luogo fosse arrivato prima il soggetto destinatario dell’ordine, infatti, sarebbe stato costretto in ogni caso ad allontanarsi immediatamente, senza indugio, dal luogo ove, se pur per un caso fortuito, fosse sopraggiunta la persona offesa.

Avendo analizzato la portata della nuova normativa nella sua interezza, dalla fase della prevenzione a quella più incisiva della repressione, con le misure nella disponibilità dell’Autorità di Pubblica Sicurezza, così come quelle messe a disposizione dell’Autorità Giudiziaria, rimane ancora una parte da esaminare, relativa alle novità introdotte: la figura della vittima. Questa dovrebbe essere, forse, più propriamente trattata da chi ha una preparazione professionale improntata sulla psicologia, ma vi sono aspetti così palesi che anche un modesto funzionario di P.S. può esaminare senza correre il rischio di fare erronee affermazioni.

La vittima di condotte persecutorie, si trova spesso in uno stato di totale prostrazione, appare evidente la rabbia per la perdita della libertà, diritto inalienabile di tutti gli individui. Alcuni dei soggetti manifestano condotte totalmente remissive, abituati a subire ogni tipo di invasione della sfera della propria individualità, altri manifestano un sentimento di rabbia che in talune circostanze poterbbero portare a “contrattaccare” pur di non continuare a subire. Talune di queste persone sono costrette a ricorrere a vere e proprie cure sanitarie per disturbi da ansia e patologie analoghe. Per tale motivo, il legislatore ha introdotto per le forze dell’ordine, ma anche per i presidi sanitari, l’obbligo di informare le vittime circa l’esistenza di centri antiviolenza, affinchè queste possano ivi rivolgersi per far cessare anche sul piano psicologico gli effetti delle condotte poste in essere in proprio danno.