(1) – Alfano: sull’astensionismo ha pesato anche il mancato traino delle politiche

“Nella gran parte dei Comuni dove si è votato, a cominciare da Roma, la volta precedente si era votato in abbinamento con le politiche e questo aveva trascinato il dato dell’affluenza verso l’alto”. Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, in sala stampa al Viminale, risponde così ai cronisti che gli chiedono di commentare l’alta percentuale di astensionismo alle urne. “Il segnale arrivato da un numero così elevato di cittadini che hanno scelto di non presentarsi alle urne – aggiunge – non va assolutamente sottovalutato, ma l’abbinamento con le politiche nel 2008 ha sicuramente influito sulla percentuale dei votanti”.

“Le chiavi di lettura del fenomeno dell’astensionismo sono tante e non possono essere ricondotte ad una sola”, risponde così a chi gli chiede se la scelta di un governo di larghe intese potesse avere condizionato negativamente il dato della partecipazione. Quanto alla possibilità che il voto stesso condizioni l’esecutivo, dichiara: “siamo nella sala stampa del Viminale, non è il caso di lanciarsi in considerazioni politiche per le quali ci sarà tutto il tempo in ragione dei risultati veri e propri”. Infine, il ministro dell’Interno ringrazia “tutti coloro che si sono adoperati perché le operazioni di voto si svolgessero in modo regolare e sereno. Siamo estremamente soddisfatti perché tutto è andato per il meglio, senza episodi di violenza davanti ai seggi, o senza occasioni di polemica che potessero determinare preoccupazioni”.

(2) – Tranquilli, abbiamo tenuto

Ogni voto amministrativo fa storia a sé rispetto a quello politico nazionale: neppure questo è diverso per quanto riguarda i risultati ottenuti dalle liste dei due maggiori partiti, Pdl e Pd, nelle maggiori realtà locali. Se anzi volessimo focalizzarci sul Popolo della Libertà a Roma, osserveremmo subito che siamo passati dal 18,7 delle politiche di fine febbraio (che nella consultazione per le regionali fu 17,33) al 19,15 di ieri. Mentre Fratelli d’Italia, lista che possiamo considerare alleata, sale dal 2,66 al 5,92. Sono due esempi pratici che confermano come a livello politico il centrodestra abbia tenuto, nei voti di lista, in un tipo di consultazione da sempre poco favorevole ai moderati.

Sempre restando ai dati di fatto, i due più vistosi sono l’astensione ed il dimezzamento in appena tre mesi dei voti al Movimento Cinque Stelle. Dati che vanno letti assieme: delusi e astenuti non hanno trovato nel grillismo una possibile alternativa. Al contrario: quello che era uscito dalle urne delle politiche di febbraio come la prima singola lista, alla prova dei fatti ha dato di sé, ed a chi ci aveva creduto, una prova desolante. Il comico genovese torna a fare il comico.

Sui motivi dell’astensione circolano poi spiegazioni fantasiose. La gente sarebbe rimasta a casa perché delusa dalla mancanza di cambiamento, addirittura dal fatto che non si è ancora messo mano alla nuova legge elettorale (tesi de la Repubblica). Ma la legge elettorale per i sindaci è considerata tra le più rodate e stabili che abbiamo, e quanto al cambiamento il risultato dei grillini parla da solo. La realtà è un’altra, ed è molto semplice: a tenere a casa gli elettori è la situazione economica, la crisi del lavoro, la morsa delle tasse e della burocrazia. L’assenza di ottimismo nel quale il nostro paese continua a dibattersi.

Da questo punto di vista, il governo di larghe intese era e resta l’unica soluzione possibile, dopo il lungo inverno dell’esecutivo tecnico. È plausibile che il governo di Enrico Letta esca da queste consultazioni politicamente rafforzato: il rischio di un ritorno alle urne per le politiche è di gran lunga attenuato; l’ala massimalista del Pd ha potuto verificare che la coabitazione governativa con Silvio Berlusconi non è affatto un abbraccio fatale. Serve, invece, deporre le armi, da parte di tutti: solo così si restituisce quel clima positivo indispensabile ad ogni paese, ad ogni società. Ora però, e anche per questo, il governo deve muoversi. Deve darsi una scossa. Nei limiti certo degli impegni di bilancio, deve far seguire alle parole i fatti, e lavorare su come utilizzare al meglio i fondi che si liberano con la fine della procedura d’infrazione europea.

Ripetiamo la nostra agenda: meno tasse, meno burocrazia, più lavoro, più flessibilità per i giovani, più credito alle aziende, meno Stato asfissiante. Così, vedrete, salveremo l’Italia, restituiremo fiducia e ottimismo ai cittadini, e riporteremo anche la gente alle urne.

(3) – E il governo non ha nulla da temere

“Hic manebimus optime”. La celebre frase con cui lo storico Tito Livio raccontò la vittoria di Roma su Veio, ben si addice oggi anche al governo di Enrico Letta e di Angelino Alfano. La stabilità dell’esecutivo non è in pericolo, e il governo di larghe intese non ha nulla da temere. Anzi, il risultato del voto delle amministrative segna due punti a favore del governo, che a conti fatti risulta essere l’unico vero vincitore.

Punto primo: l’esito delle amministrative boccia in modo lampante il movimento di Grillo, che con le politiche di febbraio aveva introdotto un terzo soggetto sulla scena nazionale, con numeri sufficienti per impedire sia alla sinistra che al centrodestra di governare. L’assurdo veto dei grillini contro tutti e contro tutto, unito alle ridicole dispute sugli scontrini dei suoi eletti, hanno aperto gli occhi agli italiani. E così il pallone gonfiato di Grillo si è afflosciato in meno di tre mesi.

Punto secondo: il fatto che ai ballottaggi in tutte le grandi città siano state ammesse solo le coalizioni organizzate intorno al Pdl e al Pd conferma la validità del bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra, anche se le due coalizioni oggi governano insieme. Gli italiani hanno però compreso che si tratta di un’emergenza politica, di un governo messo insieme in via del tutto eccezionale da due forze antagoniste, che per il bene dell’Italia hanno deciso di accantonare le rivalità per un periodo limitato nel tempo: quanto basta per varare alcune misure necessarie per uscire dalla crisi economica e riscrivere insieme alcune parti della Costituzione, per rendere l’Italia un paese finalmente governabile. Fatto questo, centrodestra e centrosinistra torneranno a confrontarsi in modo democratico, esattamente come è avvenuto per la guida di oltre 500 Comuni grandi e piccoli.

Dettaglio politico non trascurabile: a suggerire per primo la strada del governo di larghe intese è stato Silvio Berlusconi, un leader con la vista lunga. In fondo, anche se può sembrare un paradosso, il voto delle amministrative – rafforzando il governo – ha segnato anche una sua vittoria politica.

 (4) – Quando il gioco si fa duro, i comici perdono

I numeri parlano chiaro: il grande sconfitto di questa tornata elettorale è il movimento di Grillo. In tutte le città dove si andrà al ballottaggio, dei grillini neppure l’ombra. Zero. Per i loro candidati sindaci, i voti si sono dimezzati rispetto alle politiche di appena tre mesi fa. La conquista di Parma è ormai un lontano ricordo. E le ragioni di questo tracollo sono fin troppo evidenti. Nella campagna elettorale per le politiche Grillo aveva cavalcato l’antipolitica. Un messaggio facile, e tutto sommato in sintonia con una parte diffusa dell’elettorato. Ma per le amministrative urlare l’antipolitica nei comizi non è bastato: serviva una classe dirigente degna di fiducia, degli amministratori preparati, ma i grillini hanno dimostrato di non averne. E gli italiani li hanno rapidamente sfiduciati. Una sfiducia così rapida e diffusa ha radici precise. Vedendoli in tv, come ha fatto notare Berlusconi nel suo comizio a Roma, gli italiani hanno compreso che i grillini sono soltanto burattini manovrati attraverso internet da un comico sconclusionato, che si comporta come un dittatorello da operetta, vieta ai suoi eletti di parlare con giornali e tv, e pur non avendo né idee né progetti validi per l’Italia, già si vendeva un futuro vittorioso, in cui il Pd sarebbe scomparso, e sulla scena sarebbero rimasti soltanto lui e Berlusconi per il duello finale, con lui (il comico) nella parte del futuro vincitore. Un bluff finito nella polvere.

Non basta. A dimostrazione della loro inadeguatezza, i parlamentari eletti nelle liste di Grillo in tre mesi non hanno proposto nulla di utile all’Italia, neppure un disegno di legge degno di questo nome (non sanno scriverlo, perché anche qui serve esperienza), ma hanno soltanto litigato tra di loro e con il loro capo-comico sulle note spese, sulle diarie e sugli scontrini. Gente così non serve a nessuno. Sono inutili in Parlamento. Ma sarebbero ancora più dannosi se eletti nei Comuni, dove il controllo popolare è più diretto e rapido. Da qui, una bocciatura sacrosanta e salutare. Premessa di un ritorno al bipolarismo, alla democrazia, e dunque alla serietà.

(5) – Amministrative/Ballottaggi, partita aperta

“Ha ragione il sindaco Alemanno quando dice che la sinistra canta vittoria prima del tempo. Il ballottaggio è una partita nuova. Ed è una partita totalmente aperta”. Lo dice la vice capogruppo Popolo della Libertà alla Camera, Mariastella Gelmini.

“Noi del Pdl combatteremo fino alla fine, contro l’astensionismo e contro l’antipolitica della protesta senza proposta, invitando tutti i cittadini ad andare a votare, a Roma come altrove dove ci saranno i ballottaggi, perché solo scegliendo, solo votando e non facendo scegliere a pochi è possibile essere co-protagonisti del buon funzionamento della città”.

 Cicchitto: Alemanno recupererà il voto moderato

Effetto derby sul voto per il Campidoglio? “Può sembrare folcloristico, ma su questo ha ragione Alemanno. Io l’ho vissuto, vivo in quella zona e tutta quell’area era completamente bloccata, per cui il pomeriggio quel pezzo di Roma è militarizzato e si poteva votare o la mattina di domenica o la mattina di lunedì”. Fabrizio Cicchitto, da Omnibus su La7, guarda comunque avanti e per il ballottaggio anticipa che “è aperto, anche perché se vince Marino vince una posizione estrema”, mentre Alemanno “recupererà anche il voto moderato”. “Non è vero – prosegue l’esponente Pdl – che il Pdl ha abbandonato Alemanno. Quello che ha pesato per il risultato non brillante è aver gestito una città dovendosi misurare con un debito di 12 miliardi e averlo portato a 8. I cittadini non sono contenti se hai migliorato la finanza locale, tagliando e dando colpi a destra e a manca”.

Capitolo astensionismo: “non voglio sfuggire al campanello d’allarme di una disaffezione molto profonda nei confronti della politica e dei partiti, ma penso che per certi aspetti ce la siamo andati a cercare: andare a far votare la gente a tre mesi di distanza dalle politiche ha appesantito una situazione già seria”. Quindi, “l’election day sarebbe stato più ragionevole”.

(6) – Legge elettorale/Brunetta: ritocchi minimi

“La riforma della legge elettorale verrà dopo, se non c’è chiarezza su questo il rischio è che si inquini tutto e si intossichi così anche il lavoro dei 40 sulle riforme”. Il capogruppo del PdL alla Camera Brunetta ribadisce, dopo l’incontro al Senato delle forze di maggioranza con i ministri Franceschini e Quagliariello, i ‘paletti’ del Popolo della Libertà sul riferimento alla legge elettorale nella mozione sulle riforme che sarà discussa domani da Camera e Senato. “Noi – aggiunge – abbiamo sempre detto di essere favorevoli da subito a modifiche minimaliste della legge elettorale, la stessa cosa che dissero Letta e Franceschini all’uscita dal convento. È stato il Pd, poi, ad allargarsi e a dire che voleva il Mattarellum. I problemi sono dentro la casa del Pd”.

Quanto al percorso della riforma, Brunetta aggiunge: “c’è ampia condivisione sul percorso ma restano da sciogliere ancora due nodi: sulla clausola di salvaguardia e sul Comitato dei 40”. “Noi chiediamo – spiega – che il Comitato sia assolutamente proporzionale ai voti presi dai partiti alle elezioni politiche”, senza considerare dunque il premio di maggioranza assegnato al Pd “perché quello serve per governare”. E ammette che “questo tema non è stato ancora sciolto, perché il Pd alla Camera ha ottenuto un super premio di maggioranza che moltiplica per tre i suoi numeri, anche se c’è stato un sostanziale pareggio con il PdL”.

Da qui la richiesta del partito di via dell’Umiltà di “avere lo stesso numero di componenti tra Pd e Pdl nel Comitato dei 40. Dopodiché entrambi, per garantire la giusta rappresentanza a tutte le forze, si sacrificheranno a favore delle minoranze”.

(7) – Tagliare le unghie al mostro Equitalia

Non è soltanto un modo di dire. L’appello lanciato da Berlusconi al premier Enrico Letta (“Tagliare le unghie al mostro Equitalia“), dopo aver ottenuto la sospensione dell’Imu, è un invito al buon senso, una riforma concreta per riportare lo Stato dalla parte del cittadino che, strozzato dalla crisi economica, ha dovuto fare i conti con le angherie del fisco. Con Equitalia è stato “introdotto nel rapporto con il cittadino un sistema violento che dà l’impressione, al contribuente che entra in contatto con Equitalia, di uno Stato ostile e nemico“. Come già con la sospensione dell’imposta sulla prima abitazione, l’intento è quello di ricostruire la fiducia tra i cittadini e le istituzioni minata da tredici mesi di governo tecnico. Il segnale è stato chiaro: basta infliggere multe salatissime agli imprenditori che, strangolati dalla recessione, non riescono a saldare i debiti col fisco, e basta con i sigilli ai macchinari per le imprese impossibilitate a pagare. Il Pdl ha già raccolto l’input del suo Presidente, e ha fatto approvare in Parlamento una risoluzione che impegna il governo a intervenire con immediatezza.

È infatti urgente rivedere alcuni aspetti della riscossione coattiva dei tributi, introducendo elementi di flessibilità che consentano di contemperare la doverosa tutela degli interessi erariali con quella, altrettanto fondamentale, di salvaguardare la sopravvivenza economica delle famiglie e delle imprese colpite dalla crisi.

In particolare, appare necessario impedire che un’applicazione eccessivamente rigida dei meccanismi di riscossione pregiudichi in modo definitivo le prospettive di vita e le possibilità lavorative e imprenditoriali dei contribuenti interessati, evitando in tal modo ulteriori lacerazioni nel tessuto sociale e produttivo del Paese che, oltre a risultare di per sé inaccettabili, determinerebbero anche una riduzione delle stesse entrate tributarie.

In questa prospettiva, vanno rivisti il meccanismo dell’ espropriazione immobiliare e il sistema di calcolo degli interessi sulle somme riscosse in via coattiva. Bisogna ricercare soluzioni che consentano un rientro più graduale del debito, prevedendo criteri obiettivi e non discrezionali nella valutazione della situazione economico-finanziaria del contribuente, in particolare procedendo:

  • ad ampliare il numero massimo di rate in cui può essere ripartito il debito tributario;
  • ad escludere l’espropriazione forzata immobiliare e dell’ipoteca sulla prima casa del debitore, qualora essa costituisca l’unico suo bene patrimoniale;
  • ad introdurre la possibilità, per il debitore che si trovi in una grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, di sospendere, per un periodo fino a sei mesi, il pagamento delle rate nelle quali è stato ripartito il debito tributario;
  • a ridurre l’entità degli interessi di mora gravanti sul contribuente in caso di ritardato pagamento.

Si tratta di misure di buonsenso in grado di ristabilire un più corretto rapporto tra Stato e contribuente e, allo stesso tempo, di ridare ossigeno alle famiglie e alle imprese in difficoltà.

(8) – Franco/Un giudizio negativo per tutti

Dal Corriere della Sera, a firma Massimo Franco

Ha vinto l’astensionismo e ha perso Beppe Grillo. Forse come sintesi è un po’ brutale, eppure coglie i due aspetti più vistosi di un voto amministrativo che probabilmente stabilizzerà il governo, rassicurando un po’ il Pd sulla propria tenuta. Di certo, ripropone in termini seri il rapporto fra democrazia e voto, mostrando una massa di elettori in attesa di rappresentanza. Dalle urne esce un’Italia dei campanili meno frantumata e insieme più delusa. Può darsi che sia il costo di una modernità associata a basse percentuali di partecipazione. Il sospetto di una regressione, però, non va sottovalutato.

Si può anche abbracciare la tesi della disaffezione dalla politica: certamente c’è anche quella. Ma si coglie, altrettanto vistosa, l’incapacità dei partiti di ritrovare il proprio ruolo. La spiegazione di quanto è successo fra ieri e domenica, con percentuali che a Roma hanno toccato appena il 53 per cento, e poco più del 60 sul piano nazionale, suona come un giudizio negativo per tutti. Incluso il Movimento 5 Stelle, che cerca di scaricare sui «partiti tradizionali» un tracollo che riguarda anche le sue falangi: a conferma che Beppe Grillo è il sintomo più vistoso ma non la risposta alla crisi del sistema.

Fa un po’ sorridere il candidato grillino a sindaco di Roma che attribuisce la sconfitta all’«oscuramento» dei media. Vittimismo da partito come gli altri; e spiegazione che sa di autoinganno, perché Grillo è cresciuto grazie alla connotazione antisistema e all’assenza sui mezzi di comunicazione. Ma questo è solo uno degli aspetti di una transizione in pieno svolgimento. Ormai sta diventando evidente che si può anche vincere in una gara a chi cala di meno. Eppure, la vera svolta arriverà solo quando qualcuno riuscirà a riportare a votare una parte degli astenuti. Da questo punto di vista, l’esempio di Roma è eclatante. Verrebbe da dire che la capitale d’Italia si è avvicinata pericolosamente alla «sindrome siciliana». Quel modesto 47,42 per cento di votanti che nell’ottobre scorso segnalò il malessere dell’Isola, allora fece parlare di «anomalia» della Sicilia, non esportabile nel Paese. Da ieri, però, l’astensione record di quelle elezioni diventa un’anticipazione di quanto è successo e potrebbe accadere. Il disorientamento dei sondaggisti è figlio di un fenomeno che fa saltare i parametri consolidati, fotografando solo un pezzo di elettorato. D’altronde, non ci sono posizioni di rendita in grado di garantire la vittoria.

Le difficoltà del Pdl un po’ ovunque, e il tramonto del potere leghista in una città-roccaforte del Veneto come Treviso dicono che nessuno ha più a disposizione un blocco sociale acquisito per sempre. C’è un elettorato parcheggiato nel limbo, e pronto ad appoggiare ora l’uno, ora l’altro a seconda del momento. E si delineano fronti radicali e potenzialmente contrapposti, che il governo di Enrico Letta riconcilia in modo miracoloso e temporaneo. Il problema sarà, nel medio periodo, farli diventare interlocutori credibili di quell’Italia che non vota più, senza esserne travolti.

(9) – Folli/Ora le larghe intese sono più solide

 Da Il Sole 24 Ore, a firma Stefano Folli

Era previsto che il voto amministrativo non avrebbe destabilizzato il governo delle larghe intese. Troppo vicino alle politiche di tre mesi fa, troppo eterogeneo. Quello che non era prevedibile, invece, è che avrebbe addirittura rafforzato l’esecutivo Letta. È proprio quello che è accaduto, almeno stando ai dati del primo turno. Basta vedere chi ha vinto e chi ha perso. Ad esempio, il crollo bruciante dei Cinque Stelle ha molte spiegazioni, ma una sola conseguenza: la minaccia anti-sistema perde vigore, almeno nel medio periodo. Certo, le elezioni amministrative sono il terreno di confronto più scomodo per Beppe Grillo: la sua strategia a percussione ha bisogno della grande cassa di risonanza del voto politico per essere efficace. È stato sempre così per tutti i movimenti populisti, da Giannini a Poujade. Peraltro Roma (è di questa città che soprattutto si parla e si parlerà nei prossimi giorni) ha tutte le caratteristiche per essere sorda e ostile al messaggio “grillino”. I romani non amano le varie “caste”, ma sono abituati a conviverci da tempo infinito e semmai diffidano dei “tribuni del popolo”. Messi alle strette si rifugiano nell’indifferenza e nel non-voto, evitano di correre sulle barricate.

Se a questo si aggiunge che il risultato del M5S è pessimo quasi ovunque nel resto d’Italia dove si è votato, si capisce che Grillo avrà molte cose su cui riflettere. Raccogliere consenso sollecitando l’odio verso il sistema, imputandogli inefficienza e corruzione, può essere molto facile in una prima fase; tuttavia la strada va presto in salita se non si ottengono risultati tangibili. Ovvero se non si è capaci di alimentare la macchina del populismo con carburante sempre nuovo. Grillo è bravo, ma è evidente che oggi non sa cosa fare. Le larghe intese avrebbero dovuto alimentare la crescita impetuosa dell’opposizione, secondo una certa “vulgata”. Ma la realtà è un’altra. I “grillini” perdono slancio e fascino agli occhi dei loro elettori che preferiscono tornare all’astensione in attesa di tempi migliori. E la colpa non è dei “media”, come pretende un’altra “vulgata” di basso conio. La colpa è di un messaggio confuso, dell’incapacità di mettere la forza raccolta in febbraio al servizio di una vera istanza riformatrice, della modestia della classe dirigente che dovrebbe affacciarsi dietro al leader carismatico. In realtà non c’è nessuno o quasi. Ecco perché il governo e la sua larga maggioranza oggi sono un po’ più solidi di ieri.

Può non durare, è ovvio. Ma in questo momento è l’opposizione frontale a dover rivedere molte cose nella sua strategia. E non è detto che Grillo sia in grado di cambiare strategia come si cambia una camicia. Finora ha accentuato i toni, nella predicazione del collasso prossimo venturo e di un millenarismo da “fiction” televisiva. Ora gli toccherà ripensare le scelte di fondo. Non tanto per l’insuccesso di De Vito a Roma e degli altri candidati altrove, tutti esclusi dai ballottaggi. Quanto perché è la “base”, il famoso popolo del web, a essere furiosa e a chiedere conto al capo. […] Il Pd di Epifani, che esce in apparenza semi-vincitore dal primo turno, deve stare attento a non cantar vittoria. Il quadro generale racconta di un distacco dalla politica persino accentuato, almeno nella capitale. E il Pd si salva solo perché gli altri vanno peggio. La strada della risalita sarà molto lunga.

(10) – “Per il Pd non è l’inizio della ripresa”

 Dai giornali di oggi, martedì 28 maggio

La Stampa (Mattia Feltri) – Oggi viene in mente l’ultimo confronto fra i quattro principali contendenti alla carica di sindaco di Roma. Si è tenuto venerdì sera a Sky Tg24. Alla domanda del conduttore («Di che squadra siete tifosi? Chi volete che vinca il derby di Coppa Italia?»), Ignazio Marino ha risposto: «La Roma». Gianni Alemanno: «La Roma». Alfio Marchini: «La Roma». E Marcello De Vito: «La Roma». Cioè, più che astensionisti sono laziali.

Il Giornale (Adalberto Signore) – Così, quel che davvero sembra aver più colpito il Cavaliere è il flop dell’M5S, il fatto che la strategia di Grillo inizi a non pagare più … Il voto, … non influirà sulla tenuta del governo, comunque finiscano i ballottaggi …

La Repubblica (Carmelo Lopapa) – «Ora il rapporto col governo deve cambiare, dobbiamo farci sentire, imporre i nostri temi». Silvio Berlusconi incalza Angelino Alfano e altri dirigenti sentiti da … L’onda lunga dell’antipolitica «si è arrestata», Grillo ha fatto flop, e questo per il leader è quel che conta: Letta insomma «andrà avanti», non rischia … Raccontano che Berlusconi la sconfitta del sindaco uscente l’avesse messa nel conto, sebbene non i dieci punti di distacco da Marino. In più di un’occasione l’ex premier aveva confidato di non considerare l’ uscente la soluzione migliore per spuntarla (in molti hanno notato l’abbraccio caloroso con la Meloni sul palco del Colosseo di venerdì). Ma era impossibile ritirarlo. «In tempi di crisi i sindaci uscenti pagano un prezzo salato — spiega Mariastella Gelmini. Ma il risultato di Roma o Brescia hanno portata locale, non incidono sull’operazione di responsabilità che stiamo portando avanti a livello nazionale»…

La Stampa (Marcello Sorgi) – … Il Pd sbaglierebbe, malgrado tutto, a scambiare il risultato di questa tornata come l’inizio della ripresa. Non lo è: e lo sanno benissimo i dirigenti, a cominciare da Epifani, che infatti lo hanno commentato con prudenza, senza esagerazioni. Purtroppo, un Marino non fa primavera. E rivela, anzi, la distanza tra il sentimento della base Democrat e il partito impegnato nel difficile, ma ineludibile, esperimento del governo di larghe intese guidato dal vicesegretario Enrico Letta … La novità, ammesso che lo sia davvero, è che dopo quanto è successo non si tratta più di scegliere tra Letta e Renzi, o tra questi due e la terza anima, radicale, che contesta il vertice e però è determinante per eleggere il sindaco di Roma. Ma, se possibile, di tenerle tutte insieme…

Il Fatto Quotidiano (La Cattiveria) – Crollo dei consensi per il Movimento 5 Stelle. Dev’essere la famosa decrescita.

Libero (Maurizio Belpietro) – Di vincenti ancora non si può parlare, quanto meno non a Roma e in altre città in cui per scegliere il Sindaco si dovrà aspettare il ballottaggio di metà giugno. Ma, al contrario, dei perdenti si può già dire, perché dalle elezioni di domenica e lunedì a uscire con le ossa rotte sono stati senza dubbio i candidati del Movimento 5 Stelle…

Italia Oggi (Pierluigi Magnaschi) – Gli elementi più rilevanti delle elezioni amministrative sono due. Il primo è il crollo della partecipazione al voto. A Roma ha partecipato al voto solo il 52,8% degli aventi diritto. In pratica, ha votato solo uno su due. È facile prevedere che questo elemento sarà trascurato dai commenti dei politici e dei media perché a questo fenomeno ci abbiamo fatto indebitamente il callo, anche se resta molto inquietante perché dimostra che gli elettori non credono più in chi li rappresenta. E non solo nelle elezioni amministrative ma in ogni campo… Il M5S sta sfiorendo come una rosa nel vaso perché ha svolto troppo presto il suo ruolo. Non perché fosse forte. Ma perché il Pd si è rivelato debolissimo. Il tronco della quercia possente era marcio. All’interno.

Il Fatto Quotidiano – Il fallimento elettorale di Gianfranco Fini lo ha lasciato senza seggio parlamentare e così lui si è rivolto ad un vecchio amico per lavorare. Per la serie: la casta appiedata si ricicla nel lobbismo travestito da “relazioni istituzionali”. È il caso del casertano Italo Bocchino, ex Msi, ex An, ex Pdl, ex Fli che è stato ingaggiato dal discusso imprenditore Alfredo Romeo … Lo scandalo del sistema Romeo scoppio alla fine del 2008 a Napoli e sfiorò anche Bocchino, per il quale i magistrati chiesero ma non ottennero l’arresto. Al telefono, romeo ordinava a Bocchino: “Tu mi devi garantire le coperture”. Il politico rispondeva “Io e te siamo una cosa sola”. L’idillio continua.